Come viene prodotta la cera d’api
Mentre molti insetti costruiscono i loro nidi utilizzando materiali raccolti nell’ambiente (come fibre vegetali, fango, intonaci), le api producono da sole il loro materiale da costruzione: la cera. Con essa costruiscono le strutture interne favo_naturaleall’alveare: i favi, formati da celle esagonali che serviranno sia allo sviluppo delle api dall’uovo all’adulto, sia ad immagazzinare il polline e il miele. Come per molti altri lavori dell’alveare, la produzione della cera e la costruzione di favi è affidata ad api di una specifica fascia d’età, e cioè dal decimo giorno di vita fino a circa il diciottesimo: questa capacità coincide infatti con lo sviluppo di particolari ghiandole dette ceripare, che si trovano nell’addome. Dopo il diciottesimo giorno di vita esse cominciano ad atrofizzarsi e l’ape si predispone a svolgere altre attività all’interno dell’alveare.
La cera viene prodotta a partire da una trasformazione degli zuccheri contenuti nel miele. Si ritiene che le api impieghino circa dieci grammi di miele per produrre un grammo di cera: una parte degli zuccheri serve come materiale da costruzione, l’altra come combustibile per fornire l’energia necessaria alla sintesi. Piccole scagliette di cera vengono trasudate da aperture addominali, prelevate con le zampette, portate alle mandibole dove vengono masticate per ammorbidirle e poter essere modellate. Le api, per costruire la struttura di un favo in condizioni naturali (cioè in un ambiente vuoto, senza il foglio cereo prestampato solitamente fornito dall’apicoltore), si agganciano l’una all’altra con le zampette, creando delle vere e proprie impalcature.
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Caratteristiche della cera d’api
La cera è una complessa miscela, chimicamente stabile, di sostanze organiche (circa 300) di carattere grasso: idrocarburi, acidi, alcoli e in maggior proporzione esteri. Si presenta, nel momento della secrezione, di un colore bianco traslucido. Può poi assumere una vasta gamma di colorazioni, dal giallo chiaro all’arancio scuro, a seconda dei colori delle sostanze oleose contenute nei pollini di diversi fiori bottinati dalle api, che in essa si sciolgono. Il girasole conferisce per esempio alla cera una tonalità giallo oro, la sulla una tonalità aranciata, l’acacia una tonalità bianca. Un iscurimento avviene, sempre nell’alveare, per contaminazione con la propoli e con residui dei bozzoli lasciati dalle larve sui fondi delle celle, e, successivamente, a causa del calore impiegato per l’estrazione o del tipo di metallo dei recipienti in cui viene fusa o conservata (se in ferro, zinco, rame e ottone, provocano ossidazione, buoni quelli stagnati e in alluminio, ideali in acciaio inossidabile).
La cera d’ape è una sostanza insolubile in acqua, per questo è ottimale per ospitare – all’interno delle celle del favo – una sostanza che ha una base acquosa come il miele senza che ci sia compenetrazione o perdita. La cera è g ià plasmabile a una temperatura di 35°, e la sua temperatura di fusione è relativamente bassa (62-66°). Anche se può fondersi in presenza di solventi chimici (cloroformio, solfuro di carbonio, essenza di trementina, benzolo) è una sostanza sostanzialmente inerte, per questo si presta bene a essere utilizzata come protettivo o come isolante. In fusione, può essere mescolata a sostanze grasse. E’ resistente alla maggior parte agli acidi e agli enzimi digestivi della maggior parte degli animali. E’ più leggera dell’acqua sia allo stato solido che liquido.
Le sue caratteristiche hanno permesso che venisse utilizzata in una grande varietà di ambiti: dalla fabbricazione di candele alla scultura, al trattamento del legno ediversi tipi delle superfici, come sostanza portante in cosmesi e farmaceutica.
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Come viene estratta la cera
La cera può provenire innanzitutto dagli opercoli, cioè dallo strato che le api costruiscono per sigillare le celle in cui hanno immagazzinato il miele, che viene asportato dall’apicoltore con forchette o lame per permettere l’estrazione del miele. Gli opercoli sono freschi di produzione e quasi del tutto privi di impurità, quindi la materia migliore da utilizzarsi in preparati cosmetici e farmaceutici, oltre che da tornare a immettere nell’alveare sotto forma di fogli cerei prestampati per accelerare la costruzione dei favi. Una fonte di cera secondaria è costituita dai favi vecchi, in cui si sono svolti diversi cicli biologici della vita delle api e dove la cera può essersi contaminata con altre sostanze dell’alveare: propoli, polline e residui dei bozzoli delle larve. E’ la cera in genere destinata alla fabbricazione di candele, protettivi per mobili, stampi, ecc.
Nel caso della cera d’opercolo, la tecnologia di estrazione deve prevedere la separazione degli opercoli dal miele. Essa può essere ottenuta per scolatura, eventualmente agevolandola col calore, torchiatura, centrifugazione, fusione “a calore secco” tramite sceratrice solare, o “a calore umido” in appositi apparecchi a vapore. Il sistema più primitivo ed economico è la bollitura in abbondante acqua, permettendo alla cera di risolidificarsi in superficie e alle impurità di formare uno strato tra cera e acqua, che verrà asportato. Più rapida è la solidificazione della cera, meno essa si libera delle piccole impurità, quindi uno degli accorgimenti per averla pulita è di mantenerla il più a lungo possibile fusa. La fusione non va mai effettuata con la fiamma diretta, ma utilizzando uno strato che assorba il calore e lo ridistribuisca in modo omogeneo, sia perché ad alta temperatura la cera rischia di prendere fuoco, sia perché si volatilizzano molte componenti e si danneggiano altre molecole.
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Storia dell’ uso farmaceutico e cosmetico della cera
Un papiro compilato in Egitto nel 1550 avanti Cristo (il Papiro Ebers) nomina la cera in 32 ricette, tutte per uso esterno, dove la cera fa da sostanza portante insieme a una varietà di altri ingredienti, quali resina, mirra, grasso di bue. Le indicazioni vanno dall’estrazione di spine alle bruciature, ferite, o come lenitivo per le articolazioni e l’irrigidimento.
Il greco Ippocrate (460-470 a. C.), considerato il “padre della Medicina” ne consigliava applicazioni sulla nuca nel caso di amigdalite purulenta.
Il romano Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) nella sua “Naturalis Historia” parla della cera sia per uso esterno che interno definendola“emolliente, riscaldante, e rigenerativa della carne”; la migliore sarebbe la più fresca. E’ data a chi patisce di dissenteria in un impasto di farina e acqua o in un porridge di semola tostata. Plinio cita anche balsami e impiastri.
Il medico greco Galeno (129-216 d.C,) mise a punto una ricetta che è a tutt’oggi la base delle “cold creams”: olio d’oliva, cera d’api e acqua di rosa: il “Ceratum Galeni”.
Il medico persiano Avicenna (780-1037) la prescrisse come stimolante della lattazione nelle donne e per la cura di tossi persistenti.
Nel “ricettario dei segreti” del principe fiorentino Antonio De Medici (1576-1521) la cera ha una parte notevole nella composizione sia di unguenti sia dei cosiddetti“cerotti”, applicazioni emollienti o medicamentose in cui veniva inserita una varietà di ingredienti (quali nepetella, olio laurino, resine, olio rosato) a seconda dell’indicazione curativa: bruciature, contusioni, piaghe e ferite, fratture, calli, sciatica.
Uso farmaceutico e cosmetico della cera oggi
Oggi la cera viene usata per le sue proprietà cicatrizzanti, antiinfiammatorie, per ascessi, e bruciature, screpolature, in impiastri caldi per artrosi e affezioni reumatiche e alcuni tipi di nevralgie, per facilitare il transito intestinale, per rinforzare le medicazioni periodontali. Inoltre viene utilizzata per prendere lo stampo dei denti nella realizzazione di protesi dentarie, entra nella composizione di supposte e dà alle pastiglie il loro aspetto liscio e lucido.frecciatornasu
In cosmesi ha un’azione soprattutto sulla pelle delicata, soprattutto se deidratata e devitalizzata; pulisce l’epidermide e nutre la pelle. Entra a far parte di creme struccanti, creme emollienti e protettive, creme da massaggio, ombretti, mascara, matite per labbra, lucidalabbra. Fin dai tempi di Galeno è ingrediente fondamentale delle “cold cream”. Alla formula originaria (olio vegetale, acqua di rose e cera) al giorno d’oggi viene aggiunto un agente alcalinizzante (di solito il tetraborato sodico) che determina le proprietà emulsionanti degli acidi grassi liberi della cera. Più recentemente si è sostituito al tetraborato sodico il solfato di magnesio, che dà origine a emulsioni più stabili.
La ricetta della “cold cream”: La particolarità di questa crema è che, pur essendo a base grassa, ha una notevole azione rinfrescante dovuta all’evaporazione dell’acqua. Per questa ragione, le venne dato il nome di cold cream. La ricetta originaria prevedeva la fusione della cera d’api, nella quale, dopo aver aggiunto 3 parti di olio d’oliva nel quale erano stati messi in infusione petali di rosa, veniva incorporata la maggior quantità d’acqua possibile. Questa preparazione fu inclusa nella Farmacopea Londinese (1618), e nel 1914 venne modificata con l’aggiunta di una piccola quantità di borace: cera d’api 18%, olio di mandorle dolci 61%, Acqua di rose 20%, Borace 1%. La preparazione viene effettuata a caldo in modo da fondere la cera e ad essa si addiziona l’olio e l’acqua contenente il borace. Nelle varianti successive sono state introdotte lanolina, olio minerale anziché vegetale, spermaceti ecc. Tentativi di perfezionare la formula hanno portato a: Cera d’api 15%, Olio Minerale 50%, H2O 34%, Borace 1%, che, volendo usare un olio vegetale, è stata modificata così: Cera d’api 12%, Olio di Mandorle 67%, H2O 20,3%, Borace 0,7%.
Altri usi della cera
Circa nel 700 avanti Cristo, Omero, nel libro XII dell’Odissea, fa riferimento alla malleabilità della cera quando Ulisse la usa per turare le orecchie dei suoi compagni di viaggio, perché non abbiano essere distratti, durante la navigazione, dal perseo_cellini_ceracanto delle sirene. Dice Ulisse nel poema omerico: “con un’ affilata lama di bronzo avevo tagliato un disco di cera a pezzetti e li stavo premendo tra le mani con forza. Per la forte pressione e il calore del sole la cera si ammorbidì e la spalmai sulle orecchie di tutti i miei compagni”.
Le cere sono infiammabili e l’uso forse più popolare della cera è quello per l’illuminazione. A differenza delle cere minerali la cere organiche come quella d’api non lasciano residui dopo la bruciatura. Pitture tombali egiziane eseguite tra il 1567 e il 1085 prima di Cristo mostrano due tipi di candele, una delle quali tenuta in mano da un sacerdote. L’uso per l’illuminazione si intreccia a quello rituale e liturgico. La chiesa Cattolica ne normò l’uso sin dal sinodo di Elvira (306 d.C.) e ribadì fino ai giorni nostri che dovessero essere di pura cera d’api. La cera entrò nella composizione di ordigni incendiari: durante la Prima Crociata, i Musulmani si difesero dai Cristiani, durante l’assedio di Gerusalemme (1099) con ordigni incendiari che prevedevano, insieme alla cera, pece, zolfo e stoppa. La sua modellabilità ha fatto sì che venisse usata fin da tempi antichissimi per la creazione di oggetti di culto: se ne hanno esempi in Egitto fin dalla prima dinastia (2830 prima di Cristo), ma anche un po’in tutte le culture native (Australia, Sud America). Prevede l’uso della cera la tecnica di scultura detta “a cera persa”, che fa la sua prima comparsa nell’età del bronzo per trovare la sua fioritura nell’arte greca e romana. Consiste nel creare un modello in cera su cui fare uno stampo d’argilla con due fori da cui far rifluire, scaldandola, la cera. Lo stampo verrà poi usato per colarvi del bronzo, o dell’ottone, o del rame o dell’oro. Questa tecnica venne usata in tutte le culture del mondo e ne sono esempi famosi i bronzi di Riace e le sculture di Benvenuto Cellini, che ne parla nel suo “Trattato della scultura”. frecciatornasu
Lo stesso tipo di tecnica è usato in gioielleria e in ambito dentistico (protesi dentarie). La cera è stata usata in ambito scientifico per creare modelli anatomici, così come per ritrarre in modo realistico persone famose, come iniziò a fare Madame Tussaud (da cui prende il nome il Museo delle Cere di Londra). Pitture su encaustico, tavolette per la scrittura dall’Antico Egitto al Medio Evo, sigilli e adesivi , tintura di abiti, conservazione di cadaveri, testimoniano la incredibile varietà di usi della cera. L’uso universalmente diffuso della cera (che è inerte, impermeabile, liscia e lucida) come finitura e lucidatura (di legno, marmo, pietra, cuoio, tessuti e cesteria) sembrerebbe avere i suoi primi esempi riconoscibili fin dal Neolitico.
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Cera d’api per la lucidatura dei mobili
“Encaustico” è il nome del prodotto che si ottiene sciogliendo la cera in un solvente: il migliore è la trementina. Poiché il solvente è infiammabile, occorre prestare grande attenzione e possibilmente usare un fornellino elettrico e non a fiamma.
finitura-a-ceraSi spezzettano con un coltello 120 gr. di cera d’api e si aggiungono 80 gr. di cera carnauba, una cera vegetale ricavata dalle foglie di una palma e che serve a dare una maggiore brillantezza. Vi si unisce, in un pentolino, 80 cl. di essenza di trementina. Si scalda a bagnomaria mescolando di tanto in tanto. E’ questo il momento in cui fare attenzione perché la trementina non prenda fuoco.
Quando la cera è sciolta del tutto, si toglie dal fuoco e con molta attenzione (perché è calda e ustionante) si versa in vasetti di vetro, che vanno ermeticamente chiusi e conservati al buio. Le proporzioni (12% di cera, 8% di carnauba, 80% di essenza di trementina) possono variare soprattutto in relazione al tipo di legno che si deve lucidare: legni duri richiedono un prodotto più diluito, quelli teneri un prodotto più concentrato.frecciatornasu
“Facciamo un gioco”
Proviamo a fare un gioco. Siamo alla fine del ’400, in Spagna, dopo cena. Su un tavolo di legno lucidato a cera, Cristoforo Colombo sciorina le sue mappe nautiche disegnate su carte e pergamene cerate, con inchiostri e pastelli ovviamente anch’essi a base cerosa.
E’ buio; Cristoforo prende un candelabro di bronzo, fuso naturalmente a cera persa, e lo arma di candele. Il suo chiodo fisso, si sa, sono le Indie. Così comincia a far mente locale sul da farsi e appunta le sue idee su foglietti di carta che appiccica dappertutto con delle palline di cera. Le navi andranno calafatate bene con pece e cera (inceramenta navium), così come i barili per l’acqua da bere e le gomene; le vele dovranno essere di buona tela cerata per non inumidirsi troppo d’acqua, come ovviamente anche gli impermeabili della ciurma.
Una volta si usava colare della cera fusa sul picciolo della frutta appena raccolta in modo che si conservasse a lungo e probabilmente anche Cristoforo avrà usato lo stesso metodo per preservare certe provviste. Indubbiamente ha pensato anche ad una scorta di bottiglie di quello buono, ovviamente ben chiuse con un sigillo ceroso. Naturalmente la farmacia della nave era sicuramente ben fornita di cerotti ed altre pozioni sempre a base di cera.
Il giorno dopo, tutto in ghingheri, con le scarpe lustrate a puntino con una buona cera e con un foulardino tutto disegnini a batik -tecnica di colorazione a cera delle stoffe- lo troviamo da Isabella che si sta godendo un concertino d’archi, resi lustri e sonori da una particolare vernice a cera.
La regale persona, dopo essersi fatta una ceretta e imbellettata di cerone, nella sala del trono con le pareti a encausto, quindi a cera, e sotto gli sfarzosi lampadari che riflettevano la luce di cento candele negli specchi istoriati (a proposito, anche l’incisione sul vetro, l’acidatura, non può fare a meno della cera), gli consegna il foglio di via, reso autentico dal reale sigillo in cera.
Nessuno ci ha lasciato detto se Cristoforo le abbia anche fatto dono di un modellino in cera delle caravelle, ma è probabile che, prima di partire per le Indie, se non ha offerto un ex voto in cera a qualche santo protettore, almeno un cero glie l’ha certamente acceso!
Potremmo continuare ancora viaggiando nel tempo e cambiando personaggi; è solo questione di fantasia. È un gioco, ma non si ha idea quanto aderente alla realtà. Se andassimo a frugare fra i registri delle spese delle chiese o di carico e scarico dei porti oppure a scartabellare la legislazione degli statuti comunali, ci renderemmo conto che il miele è una merce marginale, mentre la cera è sempre presente. (Marco Accorti)frecciatornasu
I “fogli cerei” in apicoltura
Quando le api vivevano nei tronchi degli alberi, i favi di cera che costituivano la struttura interna dell’alveare erano saldamente attaccati alle pareti e formavano un insieme compatto, che non svelava la vita delle api. Una piccola, semplice, scoperta ha rivoluzionato l’apicoltura, nella seconda metà dell’Ottocento: quella di uno spazio sempre uguale, di nove millimetri, che le api lasciano tra una costruzione e l’altra del loro alveare naturale. Questa scoperta ha permesso l’invenzione di un’arnia a telai scomponibile, quella moderna, dove i favi vengono costruiti dalle api all’interno di telai di legno forniti dall’apicoltore e rispettosi delle distanze naturali. Questo sistema permette anche di controllare e orientare lo sviluppo delle colonie d’api secondo le esigenze dell’allevatore e anche di osservare le api in ogni fase del loro ciclo biologico, perché i telaini si possono estrarre e “sfogliare”, osservare, come le pagine di un libro aperto. Insieme all’uso dei telaini mobili si è sviluppato quello dei fogli cerei, che nei telaini vengono inseriti con la struttura esagonale delle celle prestampata, per facilitare il lavoro delle api. Le tecniche di fabbricazione dei fogli cerei prevedono stampi “a libro” artigianali (la cera viene inserita calda e pressata, un foglio alla volta) e metodi più industriali quali la laminatura (il disegno delle celle viene impresso su nastri di cera lisci, da rotoli che vengono fatti scorrere a 40° circa tra due cilindri incisi), o la fusione (la cera liquida viene fatta scendere sui due cilindri incisi, raffreddati, che girano). Il primo metodo rende i fogli morbidi ed elastici, ma proprio per questo più deformabili, nel secondo le particelle della cera rimangono disposte in una struttura più simile a quella dei favi naturali, i fogli sono più fragili ma vengono meglio accettati dalle api, a cui rimane il lavoro di costruire le celle in profondità.
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Sofisticazioni
Una sostanza considerata preziosa fin dall’antichità, insieme con l’esistenza di sostanze dalle caratteristiche molto simili, hanno posto il problema della sofisticazione. Per esempio nel 1484, a Londra, venne istituita con decreto reale la Venerabile Compagnia dei Fornitori di Cera e nel 1581 venne emanato in Inghilterra un atto sulla fusione e lavorazione della cera, che prevedeva le penalità per chi la mettesse in vendita adulterata con “resina, sego, trementina o altra sostanza in commercio”.frecciatornasu
La cera d’api è a volte adulterata con sego (grasso animale proveniente da bovini, equini o ovini), stearina (un miscuglio di provenienza animale e/o vegetale tra acido stearico e acido palmitico), cera giapponese (ottenuta da bacche di arbusti presenti in Giappone e Cina), ceresina o ozocerite (cera minerale proveniente da miniere dell’Austria o degli Stati Uniti), paraffina (miscela di idrocarburi derivati dal petrolio), cera microcristallina (derivata anch’essa dal petrolio ma più dura, flessibile e resistente alla trazione della paraffina).
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