Stufi del lungo ozio invernale? Coraggio, oramai è finito e lo si può solo più rimpiangere. L’inverno, certamente freddolino quest’anno, da marzo va in pensione. O quasi. Viste, infatti, le modificazioni che il clima sta subendo in quest’ultimo decennio, chi se la sente di dire ancora “di solito in marzo…”? I casi di ritorni di freddo, lunghi periodi di pioggia e, perché no, anche l’arrivo della neve, negli anni passati non sono stati infrequenti. E quest’anno chissà. In previsione, è in ogni modo meglio tenerne conto nel guidare la conduzione dello sviluppo delle famiglie.
Il censimento del materiale disponibile in magazzino, mi auguro, lo si sarà già fatto così come si saranno anche colmate le carenze (fornitori permettendo): telaini con cereo montato già raggruppati in forma comoda per essere prelevati e spostati in apiario all’occorrenza, arnie e melari aggiustati e puliti, pompa, smelatore e disopercolatrice con manutenzione effettuata, maschera e guanti senza buchi… ebbene sì, anche questo è meglio verificarlo per tempo. All’inizio del mese, comunque, si tiene a Piacenza la Fiera dei prodotti apistici e se ne può approfittare per gli ultimi acquisti.
Ora in campo. E’ giunto il momento di mostrare i muscoli del vero apicoltore. E se avessimo esagerato con la nutrizione stimolante, i muscoli occorrerà averli per davvero per recuperare gli sciami appesi agli alberi!
Durante le visite di questo periodo, l’attenzione va rivolta principalmente alla verifica delle condizioni delle colonie all’uscita dall’inverno, dal punto di vista sia della sanità sia della popolosità. Le rose di covata, dai favi centrali dovrebbero iniziare ad allargarsi verso quelli laterali mentre l’attività delle api si fa sempre più intensa. Chi aveva seguito il consiglio di restringere le colonie in autunno può ora assistere a famiglie che si spingono oltre il diaframma chiedendo a gran voce nuovo spazio per la regina. A queste occorrerà dare progressivamente favi vuoti che si posizioneranno tra la scorta e la prima covata. Attenzione a non collocare ancora troppo centralmente i favi vuoti, perché le temperature altalenanti del periodo (un giorno caldo ed uno freddo) possono provocare “l’effetto diaframma” e determinare lo spostamento della colonia su un lato dell’alveare abbandonandone l’altro.
Purtroppo, però, non sempre alla prima visita post invernale le famiglie ci appaiono nelle migliori condizioni. Vediamo quindi come si possono ricercare le cause di queste situazioni d’anomalia e come comportarsi di conseguenza.
– Orfanità. Evidente irrequietezza delle api all’apertura del coprifavo e api sfaccendate e sparpagliate disordinatamente sui favi sono, solitamente, i sintomi più evidenti di orfanità. I casi scoperti in questo periodo possono essere risolti come già si era detto nei numeri precedenti. La presenza dei fuchi, tal quale, non ci garantisce, certo, la possibilità di una corretta fecondazione delle regine neonate, non bisogna mai scordarsi che la maggior età (e relativa completezza sessuale) dei fuchi pretende almeno quaranta giorni. Conviene, pertanto, evitare alla famiglia l’allevamento naturale delle celle reali e procedere piuttosto ad una riunione con altro nucleo o famiglia. Il metodo del giornale (famiglia orfana in doppio melario posta sopra a quella con regina con due fogli di giornale di separazione) si dimostra, in queste evenienze, un buon sistema. Per chi ha tempo e materiale limitati la scelta di riunire, con abbondante fumo, posizionando i favi delle due famiglie agli estremi dello stesso nido lasciando uno o più favi quali diaframmi, per agevolare il ricongiungimento, è un’opzione di lavoro altrettanto valida. L’esclusione della presenza di malattie nelle due famiglie da riunire è, ovviamente, alla base di tutto il ragionamento.
– Regina poco efficiente. All’apertura dell’arnia si può osservare un comportamento delle api analogo a quello descritto nel paragrafo precedente. La covata in questo caso si presenta sana, ma disomogenea e sparpagliata e la famiglia indugia a lungo su piccole rose. Se si tratta di una regina fecondata tardivamente o sulla quale l’anno precedente si erano fatte annotazioni negative in merito al suo comportamento, appena possibile si provvederà alla sua sostituzione.
– Invernamento con poche api. La regina in questo caso è di buona qualità, la covata è sana e compatta ma, avendo invernato questa famiglia con poche api, tarda nella crescita primaverile. In questo caso sarà necessario darle una mano procedendo con una nutrizione stimolante liquida: sciroppo al 55 o al 60 % di zucchero somministrato in piccole dosi (non più di 300 g) tutti i giorni per il periodo di tempo che si valuta necessario in funzione della risposta della famiglia. In questo modo si simula una leggera importazione di nettare e la regina è stimolata a deporre. Lo sciroppo può essere inserito nel nutritore Baravalle sul coprifavo oppure in quelli a tasca all’interno dell’alveare. Lo svantaggio di quest’ultimo, dato dalla necessità di aprire l’alveare ogni qualvolta si voglia aggiungere lo sciroppo, è bilanciato dalla comodità di utilizzare un elemento dalla duplice funzione, nutritore e diaframma. La scelta tra sciroppo di zucchero e miele liquido cade, a mio parere, a favore del primo che non eccita le api portandole al saccheggio. Tale attenzione può essere, fruttuosamente accompagnata da progressivi rinforzi ed apporti di api (in questo periodo anche di dimensioni assai limitate); non necessariamente si debbono concedere favi, presidiati, di covata: a volte è sufficiente “rubare” da un’altra famiglia forte e scuotere sulla debole le api giovani affaccendate sulla covata aperta, il tutto accompagnato dai relativi buffetti di fumo tiepido.
– Nosemiasi. Malattia più diffusa di quanto non si pensi, può essere o no accompagnata da diarrea e solo un’analisi al microscopio effettuata dal vostro tecnico apistico può darvi un’indicazione precisa sulla presenza del protozoo Nosema apis Z. nell’intestino delle vostre api. La profilassi risulta della massima importanza nella prevenzione di tale patologia: scelta oculata delle postazioni d’invernamento, controllo dell’alimentazione ed eventuale integrazione proteica invernale, invernamento unicamente di famiglie forti, regine giovani. Anche una periodica pulizia primaverile degli alveari può essere di aiuto nell’abbattimento della carica patogena: avendo alcune arnie vuote e pulite, si effettuano a rotazione i travasi delle colonie negli alveari puliti e si procede a raschiatura e fiammeggiatura di quelli “sporchi”. I casi particolarmente gravi possono portare la famiglia colpita a morte , mentre quelli di media o lieve entità, con l’aumento delle temperature esterne e con l’importazione abbondante di polline, tendono a regredire spontaneamente.
– Covata calcificata. Si riconosce dalle scagliette bianche e gessose che si possono osservare nei favi e sui fondi a rete. Si presenta ad inizio primavera prevalentemente nelle famiglie allevate su troppi favi in proporzione alla loro forza numerica. In tal caso occorre restringere il più possibile la colonia per limitare la dispersione di calore. All’aumentare della temperatura ambientale la malattia regredisce fino a scomparire. Se la regina presenta segni di inefficienza si procede, appena possibile, con la sua sostituzione. In ogni caso la forte presenza di scagliette è indice di scarsa propensione genetica alla pulizia. Non è opportuno concedere ad altre famiglie i favi provenienti da quelle che hanno avuto manifestazioni patologiche evidenti: possono essere causa di diffusione della patologia.
– Peste americana. Poiché i favi sono ancora poco coperti da api adulte, è più semplice poter individuare eventuali cellette con opercolo scuro, infossato e forato che, alla prova dello stecchino, presentano la “larva che fila”. Nel dubbio è, in ogni modo, meglio rivolgersi al tecnico apistico di zona poiché un’identificazione precoce della malattia consente di evitare il trasferimento di materiale infetto in colonie sane. In genere una “fase” di manifestazione della malattia è successiva al completo ricambio delle api invernali, a metà del ciclo di sviluppo primaverile. Se si tratta effettivamente di peste, non resterà che procedere alla chiusura dell’arnia malata quando tutte le bottinatrici hanno fatto ritorno al nido, alla loro uccisione con anidride solforosa, alla bruciatura dei favi e delle api infette ed alla disinfezione dell’arnia e di tutta l’attrezzatura venuta a contatto, con soda caustica e fiamma oppure eliminazione di tutto con il fuoco.